Scriveva Alda Merini (mentre sosteneva di essere visitata dalla pazzia almeno due volte al giorno) che "Anche la follia merita i suoi applausi"... come quelli convinti che hanno accompagnato la chiusura della conferenza della dott.ssa Daniela Paolini sul tema "Quando la pazzia è ispirazione", svoltasi a Villa Nappi, con l'organizzazione dell'associazione Dopolavoro Ferroviario in collaborazione con la Pro Loco di Polverigi e terzo appuntamento di un ciclo di quattro incontri.
Follia, depressione, stoltezza, pazzia, deformità, insanità (fisica e mentale)... E poi, il giullare (itinerante e giramondo, quasi un artista di strada), il buffone (di stanza a palazzo, o meglio, a corte), il nano, il matto dei tarocchi... Cappelli a punta, calzamaglie, sonagli, orecchie d'asino, un bastone che terminava con una faccia a cui rivolgevano i loro racconti e le loro battute. Pazzia rappresentata sulla tela con bonarietà o con condanna e pittori folli, simboli e visioni.
E l'arte che diventa specchio, o forse si riconferma vetrina della realtà, una realtà sociale che non ha riconosciuto la pazzia come malattia fino al 1400 e oltre, ma che si è poi arresa alla grande paura della peste e con questa, al timore di tutto ciò che era malato, diverso, deforme. E pensare che in tempi più antichi il folle era considerato quanto di più vicino al divino ci fosse, un contatto talmente diretto con Dio che permetteva di percepire una realtà diversa da come la vedevano tutti gli altri... Follia come genialità... "Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell'uomo più passione che ragione perché fosse tutto meno triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso..." (Erasmo da Rotterdam - L'elogio della follia). Ma nonostante tanta benevolenza (anche Freud diceva che il pazzo è un sognatore sveglio) nei confronti della follia e di chi manifestava insanità mentale sono stati compiute nefandezze di ogni genere, di cui nell'arte si trova traccia. Hieronymus Bosch (ancora lui!) dipinse, da visionario qual era, molte espressioni, molti simboli, ma denunciò anche la pratica della "nave dei folli", un'imbarcazione mandata alla deriva e carica di persone ritenute pazze, ma che dal dipinto risultano essere le uniche... savie! E "La cura della follia" fu un altro suo dipinto in grado di denunciare quella credenza dei medici del tempo, convinti di trovare pietre cresciute nel cervello, ma che a ben guardare ci fa un po' sorridere, perché arrivata fino a noi se la paragoniamo alle nostre espressioni colorite, tutte marchigiane, di redarguire qualcuno dicendo: "Ma che hai nel cervello, i brecci?".
E poi ci furono i pittori folli... Van Gogh, esempio eclatante, ma anche il nostro Ligabue, tanto per citarne due tra molti, a dimostrazione dell'esatta formulazione del titolo di questa conferenza, ovvero "Quando la pazzia è ispirazione"...
In fondo, scriveva il giornalista Ambrose Bierce, tentando di dare una definizione del matto: "Affetto da un alto grado di indipendenza intellettuale; non conforme ai modelli di pensiero, parola e azione, che la maggioranza ricava dallo studio di sé stessa. In poche parole, diverso dagli altri"...
Cristiana Carnevali