"Immaginate il Cristianesimo da un occhio esterno: una serie di tempi, la maggior parte dei quali sono dedicati a Maria, una piccola parte a Gesù e una piccolissima parte a Dio. E i Santuari dei miracoli sono mariani"... Spunti di riflessione che arrivano fino alle due creazioni della donna della Genesi (Capitolo 1,27: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò"; e Capitolo 2, 22: "Il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolto all'uomo una donna e la condusse all'uomo"), ma la prima non è Eva, bensì Lilith, che scappa dall'Eden non appena si accorge delle scarse capacità di Adamo per lei che era una donna dominante e combattiva, con tutto quello che ne consegue.
Si è occupato di araldica, invece, l'intervento di Mario Carassai. Anzi, di simboli araldici, sostenendo da subito che chiedersi "Che cosa significano tutti i simboli di uno stemma?" è una falsa domanda, perché l'Araldica, che nacque tra l'11° e il 13° secolo, fu solo un'esigenza di riconoscersi tra cavalieri in battaglia. Con l'armatura indosso, capire quali fossero i compagni di battaglia e quali i nemici era piuttosto difficile e lo scudo sembrava essere il luogo più adatto dove apporre un segno di riconoscimento. Dopo la guerra, la necessità fu di riconoscersi nei tornei cavallereschi. I segni e le combinazioni sono sempre stati infiniti, ma è curioso sapere che i colori, invece, erano solo sette: oro, argento, rosso, nero, verde, azzurro, porpora. Il segno araldico è stato sempre un po' come un logo, ad Amandola, ad esempio, c'è, antichissimo, quello dei calzolai. La nobiltà poi se ne appropriò e ne ha fatto un uso ristretto al proprio ceto, riducendo l'araldica a uso privato. Solo in Italia si usa la parola "stemma" e nel Seicento questo elemento sfocia, attraverso i segni segreti, nell'esoterismo. La parola "araldica" viene dall'araldo, un banditore. Oggi potrebbe essere il cerimoniere della Presidenza della Repubblica. Fu Bartolo da Sassoferrato a disciplinarla, con la produzione di uno studio, "De Insigniis et Armis" in cui si occupava anche dell'orientamento dei simboli. Nessuno si poteva appropriare dello stemma di un altro, ma d'altronde erano talmente tante le combinazioni, attraverso le partizioni degli scudi, dove poter inserire colori e simboli che era davvero difficile trovarne due uguali, se non per errore o per dolo. L'Araldica così intesa non è una pratica morta, ma viene usata per molti loghi di aziende, di multinazionali o anche per le squadre di calcio. E' materia viva anche per quanto riguarda l'Araldica civica. Già, perché, con la Pace di Costanza, segni e sigilli sono diventati elementi di riconoscimento governati da leggi. Corone e alloro, ad esempio, pur se ancora presenti, sono orpelli oggi senza troppo significato, mentre un tempo indicavano la concessione del Re. Durante il fascismo, ad esempio, gli stemmi erano sormontati dal fascio littorio. Non è importante la forma, quanto piuttosto quello che viene contenuto nello stemma, perché attinge direttamente alla storia, alle radici, alle peculiarità del luogo. "Proprio per questo motivo - ha dichiarato Carassai - sarebbe interessante che si insegnasse l'Araldica nelle scuole d'arte, per far in modo che nelle revisioni degli stemmi affidate a moderni grafici, si possa mantenere ben salde quelle caratteristiche che spesso vengono sacrificate a favore di un segno grafico di certo non ugualmente incisivo". Mostrando alcune evoluzioni di stemmi di Comuni delle Marche, è stato evidenziato come la nostra regione abbia una simbologia piuttosto interessante sin dal 16° secolo. Il cane per esempio rappresentava la sua fedeltà a Roma e poi c'è il picchio, sempre presente, ma ancora più interessante è scoprire quanto numericamente la nostra regione fosse tra le più ricche d'Europa in termini di realtà autonome e quindi rappresentate da simboli che nella Marche sono 80 per diecimila mq di territorio, a fronte dei 100 simboli dell'Inghilterra però su un territorio di 130 mila mq! Particolare attenzione è stata dedicata a Polverigi, con il simbolo costituito da una "P" maiuscola sormontata da una corona (sigillo che si trova a Firenze), che nel 1824/25 divenne semplicemente una scritta "Comune di Polverigi", fino al 1918/1922 in cui appare l'albero con la scritta "Pax". E poi Offagna, Jesi, Cupramontana, San Ginesio e Ancona con il suo cavaliere, come si confa alle città più importanti, con il Capo d'Angiò in quanto città guelfa, tolto poi dall'arrivo dei ghibellini...
L'appuntamento con "La Bisaccia di San Cristoforo", è, speriamo, per l'anno prossimo, nella speranza che gli organizzatori dell'associazione Arkès non si lascino spaventare dalla scarsità del pubblico.
Cristiana Carnevali