Cristiana Carnevali
E' stato un appuntamento della serie "Scrigni sacri schiusi - Tesori tra arte e fede", progetto arrivato quest'anno alla quinta edizione, quello di Polverigi nella chiesa del SS.Sacramento. Si tratta di un ciclo di conferenze che hanno la precisa intenzione di valorizzare il patrimonio storico, artistico e religioso dell'Arcidiocesi di Ancona-Osimo in varie tappe che costituiscono poi le aperture serali di alcune chiese, l'illustrazione delle opere d'arte che vi sono contenute e un concerto che nel caso specifico di Polverigi è stato quello dell'organo a canne della chiesa suonato da Roberto Torriani. Un illustrazione dei pezzi suonati per l'occasione ha evidenziato come la "musica descriva e racconti di momenti della vita". Certo l'organo nella sua preziosità è anche lo strumento più popolare, o meglio quell'unico che il popolo si poteva permettere di ascoltare in chiesa, a differenza dei ricchi che potevano godere della musica anche in altri ambienti, come teatri o case signorili. L'organo ligneo di Polverigi è a 19 canne e 9 registri, opera di Venanzio Fedeli e restaurato nel 1999. Un prezioso segreto della cantoria costruita nel 1736. Ma tutta la chiesa del SS. Sacramento custodisce segreti, alcuni svelati e altri che sono ancora in fase di studio. E il magico sta tutto qui. Nello scoprire, ad esempio, che nel 1982, dopo una forte pioggia, si sia aperta una voragine che ha rivelato un condotto sotterraneo di 65 metri e tutta una serie di grotte probabilmente raggiungibili direttamente dal convento, come quelle ritrovate a Osimo. Sicuramente è lì che si è sviluppato il primo insediamento di monaci brettinesi, ordine degli agostiniani che professava la massima povertà. Non solo questo, perché la chiesa del SS. Crocifisso è una scoperta continua. L'edificio, eretto nel XIII sec. in stile romanico/gotico, inizialmente era dedicato a S. Maria Maddalena. Fu semidistrutto da un incendio a fine Trecento e fu più volte ristrutturato, anche cancellando le tracce del passato e con rispondenze più adeguate allo stile in voga durante la ristrutturazione. Di certo è che tracce di quell'incendio sono presenti ancora oggi in chiesa a destra, guardando l'altare, con tante strisce affiancate che non sono altro che le candele che lasciarono la loro impronta di cera nella parete. Un'opera come quella di Sant'Emidio che protegge Ascoli Piceno dal terremoto del 1703, è stata rinvenuta casualmente il 16 agosto del 2007, appena dieci anni fa. E' una piccola tela a olio, non perfettamente conservata, probabile bozzetto o forse il cosiddetto "capolavoro" che veniva chiesto agli artisti (in questo caso Domenico Simonetti di Ancona detto il Magatta) come dimostrazione delle loro capacità prima di affidar loro un lavoro importante (che nel caso specifico è il maestoso quadro "Consegna delle cintole" in una pala d'altare dedicata alla Madonna del Duomo di Ancona. Particolarità è che la Madonna non è rappresentata in mezzo ai Santi, ma come icona. Gli angeli distribuiscono le cinture a Sant'Agostino e Santa Monica, accompagnati da San Tommaso da Villanova e San Nicola da Tolentino. E poi ci sono i mosaici, dei quali si sa molto poco e difficilmente si avranno possibilità di scoprire le loro reali rappresentazioni, a parte certe ricostruzioni che fanno pensare a dei monaci e a Sant'Onofrio, di cui si vede comunque ben poco. E c'è il mistero della Santa la cui identità è da scoprire, quella restaurata e riconsegnata alla chiesa del SS. Crocifisso di Polverigi nel dicembre 2016 (http://lestregheallegre-polverigi.weebly.com/blog/e-di-pietro-gagliardi-il-quadro-della-santa-senza-nome), dopo aver scoperto parecchio sulla modella ritratta, il suo vero autore (scoperta la firma nel quadro), ma purtroppo non l'identità della Santa. E molte altre opere stanno attendendo collocazioni storiche e anche autore, non ultima la grande tela dietro l'altare con un'Ultima cena che risponde ai canoni di diversi possibili autori, che è di sicuro in stile barocco, datata 1644, restaurata nel 2011 in occasione del Congresso eucaristico nazionale di Ancona e sicuramente molto originale nella composizione e nella sua prospettiva. Ma l'opera più preziosa di tutte è il mosaico della pavimentazione in cotto, rifatto nel 1771 sopra il pavimento del Quattrocento e intersecato da pietra bianca di solfato di calcio proveniente dalla sorgente "acqua chiocca" di Casa Ruzzo in contrada Baiana. Cristiana Carnevali
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Il prossimo 4 agosto nel parco di Villa Nappi a Polverigi, con inizio alle ore 21.00, sarà portata in scena "La Traviata" di Giuseppe Verdi, con l'Orchestra lirico-sinfonica di Roma e il Coro lirico "G. Verdi" diretti dal M° Maurizio Petrolo, per la regia di Giovanna Muller. Ne saranno interpreti: la soprano Maria Carla Curia (Violetta Valery), il tenore Riccardo Cattaneo (Alfredo Germont), le due mezzosoprano Assunta Berlingieri (Flora, amica di Violetta) e Laura Malli (Annina, serva di Violetta), i baritoni Carlo Morini (Giorgio Germont) e Jeong Hwansoo (Barone Duphol), il basso profondo Nicola Ponfilio (Dottor Grenvil) e il tenore Giuseppe Tezzi (Giuseppe, il servo di Violetta). Si narra che Giuseppe Verdi fu molto colpito quando assistette alla rappresentazione teatrale de "La dame aux camelias" (La signora delle camelie) di Alexandre Dumas figlio e questo perché la pièce gli richiamava alla mente alcune situazioni della sua vita: la malattia di sua moglie, Giuseppina Stepponi e anche le chiacchiere sul suo passato e soprattutto la sua condotta morale (prima di sposarsi con il grande musicista ebbe un figlio da un impresario teatrale con cui ebbe una relazione). Fu, quindi, una vera e propria folgorazione tanto che scrisse la sua opera in soli 40 giorni, componendola in parte nella villa degli editori Ricordi a Cadenabbia, sul lago di Como, con un'intenzione precisa di metterla in scena per il Carnevale del 1853. Fu aiutato per il libretto da Francesco Maria Piave, per un compenso di mille lire austriache. E tutto si svolse secondo i piani e la nuova opera fu rappresentata per la prima volta a Venezia, al Teatro La Fenice, il 6 marzo 1853 (Il Rigoletto, che fa parte della stessa "trilogia popolare" di opere con La Traviata e "Il trovatore" debuttò il 19 gennaio dello stesso anno). Il fiasco fu pressoché totale e questo fondamentalmente per tre motivi: l'inadeguatezza dei cantanti protagonisti, l'argomento scandalo per l'epoca puritana, l'ambientazione pressoché contemporanea. Verdi decise di stoppare le repliche, ma la ripropose l'anno successivo, il 15 maggio 1854, sempre a Venezia, al teatro San Benedetto, con un'ambientazione nel Settecento, anche se mantenne il valzer, ballo che stava conquistando l'Europa proprio a metà dell'Ottocento. Solo successivamente tornò al XIX secolo e a Parigi. Fu un trionfo e in più di 160 anni di vita "La Traviata" ha trionfato in tutto il mondo, raccogliendo ovunque consensi, tanto da diventare il melodramma più importante di Verdi. Aderisce alla linea romantica dell'epoca, suggerita da Alessandro Manzoni e ne rispetta tutti i canoni, tanto che il "sacrificio d'amore" diventa più vero nel libretto di Francesco Maria Piave che nell'opera di Dumas e "La Traviata" venne considerata dalla critica il primo esempio di melodramma verista. L'opera è divisa in tre atti, il primo dei quali si apre con una festa che la protagonista principale, Violetta, dà a casa sua, in salotto, dove ha riunito un po' di amici e dove per la prima volta si trova Alfredo Germont, segretamente innamorato di lei. E quando lei propone il brindisi a tutti gli amici presenti, ecco la prima aria tra le più celebri, ovvero "Libiam ne’ lieti calici". Si aprono quindi le danze, ma Violetta ha un accesso di tosse che la frena. L'assiste Alfredo che non perde l'occasione di parlarle d'amore, con la musica della festa e dei balli in sottofondo, ma lei si dichiara disposta solo all'amicizia. Si mescolano agli altri nella festa che sta per finire, non prima di essersi dati appuntamento al giorno dopo, ma le parole d'amore di Alfredo rendono la notte di Violetta insonne, divisa tra la volontà di andare avanti con la sua vita indipendente e gaudente e la speranza di aver trovato finalmente il suo primo, vero amore. Il secondo atto si apre in una casa di campagna di Parigi, dove Alfredo e Violetta vivono il loro tranquillo ménage. Violetta è economicamente a terra e quando Alfredo viene a conoscenza di questi problemi economici, torna a Parigi per cercare una soluzione. Ma a casa sua arriva suo padre che, in un duetto emozionante, chiede alla donna di lasciare il figlio, troncando la peccaminosa convivenza. Violetta cerca di resistere, ma il vecchio Germont è irremovibile e cinico e lei cede e si accorda con il padre affinché Alfredo possa, dopo la sua morte, essere messo a conoscenza del suo sacrificio d'amore. Così comincia a scrivere la sua lettera d'addio per il suo innamorato. Un momento intenso, reso ancora più commovente da un'altra delle romanze più famose dell'opera, ovvero "Amami Alfredo". Violetta scappa a Parigi e Alfredo, letta la lettera d'addio, si fa consolare dal padre che nel frattempo era rimasto nei paraggi della casa di campagna, proprio per cogliere il momento propizio e rinconquistare la fiducia del figlio. Vede sul tavolo un invito di Flora Bervoix, amica di Violetta e decide di partecipare a quella festa per vendicarsi. Si reca alla festa dove Violetta si presenta con il barone Douphol, suo nuovo amante. Alfredo sbanca al tavolo da gioco. Anche il rivale. La tensione cresce e Violetta tenta di parlargli, di condurlo alla ragione, ma in uno scontro verbale tra i due Alfredo chiama tutti i presenti a raccolta e denuncia la condotta di Violetta, gettandole ai piedi una borsa di danaro come pagamento per il periodo trascorso insieme. L'atto termina con l'arrivo del padre di Alfredo che lo riprende per il comportamento indecoroso, il rimorso dello stesso Alfredo, la sofferenza di Violetta e le sue rimostranze e la comprensione dei presenti. Nel terzo e ultimo atto, Violetta è stesa nella propria camera da letto, ormai morente. Dalla strada giungono canti e musica perché si sta festeggiando il carnevale parigino, ma lei è ormai povera e sola, oltre che a un passo dalla fine. L'unica consolazione le arriva da una lettera ricevuta dal padre di Alfredo che la informa che dopo il duello con il Barone, il giovane ha lasciato la Francia, ma conosciuta la verità, sta tornando per farsi perdonare dalla sua amata e in effetti Alfredo arriva, corre tra le braccia della sua donna, insieme fanno progetti per il futuro e mentre entra in scena anche Giorgio Germont, Violetta dona ad Alfredo un medaglione con il proprio ritratto affinché lui non la dimentichi e muore. Cristiana Carnevali Si è aperto un nuovo ciclo di incontri sull'arte che si svolge anche in questa estate 2017 nel parco di Villa Nappi. Se in passato sono stati analizzati i sentimenti nell'arte (dalla paura all'estasi), quest'anno si dà spazio ai ritratti. L'associazione Ankon Cultura, infatti, ha organizzato questo nuovo ciclo di incontri sul tema "L'arte nel ritratto... il ritratto nell'arte" curati da Leandro Sperduti e Daniela Paolini. Ha aperto il 24 luglio gli appuntamenti a Villa Nappi una conversazione del dott. Sperduti sul tema "Il ritratto etrusco-romano" che ha proposto le origini evocative e celebrative del ritratto, dal realismo dell'arte funeraria etrusca alla celebrazione degli antenati e dei summi viri nel mondo romano: un'invenzione tutta italica legata al culto della persona e alla sua memoria per le generazioni a venire. Ma così come questa tendenza è nata in Italia, allo stesso modo qui si è spenta e per tutto il Medioevo. Per esempio non si ha idea delle facce vere dei papi fino al 1200 e quei ritratti che si trovano sono tutti inventati, frutto della fantasia degli artisti. Per esempio papa Giulio II, primo papa dipinto con la barba: è di sicuro un falso ritratto, perché la barba per gli uomini di Chiesa era vietata. La ritrattistica rinasce quando la grande arte diventa propria di popoli del Nord Europa: i mercanti, i banchieri, i navigatori diventano molto ricchi e molto ambiziosi e vogliono essere ritratti, commissionando quadri agli artisti del tempo. Ecco, allora, che l'arte del ritratto rinasce con i fiamminghi, pittori che vengono chiamati direttamente per realizzare i "mezzi busti" in cambio di denaro. E proprio perché si dovevano rispettare i tempi dei signori, a volte non tutti i giorni e per molte ore al giorno, i pittori fiamminghi si inventano la pittura a olio necessaria proprio per questo genere di dipinti. Il primo a portare la metodologia in Italia, appresa proprio lavorando con i fiamminghi, fu Antonello da Messina, annoverato anche come il primo ritrattista italiano del Rinascimento, colui cioè che riportò l'attenzione sulle persone nella sua arte. Ma c'è di più: il Rinascimento italiano si spinge oltre, ricercando nei tratti le caratteristiche dell'anima. L'uomo acquista sicuramente una nuova coscienza di sé e il ritratto diventa non soltanto una rappresentazione della sua fisicità, ma anche del suo vissuto, della sua psicologia. Fisiognomica, antropometria e le caricature di Leonardo scrutarono e studiarono gli uomini, alla ricerca di un codice somatico che potesse essere chiave di lettura di sentimenti, caratteristiche, natura degli uomini. Fino a Cesare Lombroso. E a proposito del famoso teorico dell'"Uomo (e la donna) delinquente" di fine Ottocento, la parola è passata al prof. Paolo Marchetti professore di Storia del diritto e criminologo, nonché esperto lombrosiano. Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, è stato uno degli italiani più famosi di fine Ottocento, sicuramente colui che ha posto le basi della moderna criminologia. Pur se tanti delle sue intuizioni e dei suoi studi sono stati smentiti nel tempo, l'antropologo e giurista ha di sicuro posto i punti fermi di teorie e studi di alcune delle discipline moderne. D'altronde, seppur radiato dalla Società italiana di Antropologia ed Etnologia nel 1882, non si può nascondere che abbia ispirato Sigmund Freud e Carl Gustav Jung! Sosteneva che esisteva la possibilità dell'uomo criminale per nascita, come se qualcosa di deviante agisse a livello di DNA nella fase fetale, quindi era necessario intervenire con un approccio clinico-terapeutico. Solo verso la fine della sua vita Lombroso considererà anche i fattori ambientali, educativi e sociali, come concorrenti con le caratteristiche fisiche nel "formare" un uomo-criminale. Chiaramente certe caratteristiche erano secondo lui codificabili in specifiche conformità fisiche, a cominciare dal cranio. Il prossimo appuntamento è con la dott.ssa Daniela Paolini che concentrerà la sua conversazione sull'Invenzione della ritrattistica ufficiale tra '500 e '600, con l'arte tra il tardo Rinascimento e l'età barocca: dai maestri del manierismo a Rembrandt, a Velasquez fino alla nascita della pittura dinastica e asburgica che ha portato il ritratto ad essere uno dei generi artistici preferiti dell'età moderna. Cristiana Carnevali |
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Luglio 2022
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