A volte anche la storia di un quadro può essere capace di inchiodarti a una sedia, perché piena di fascino, di mistero, di scoperte e di nuovi enigmi. E’ successo questo nella sala del Consiglio comunale di Polverigi (AN), durante la cerimonia di riconsegna di un quadro dopo il doveroso restauro. Difficile, oggi come oggi, dare un nome, un riferimento, una qualsiasi denominazione al dipinto, perché non appare ancora chiara l'identità della Santa che vi è rappresentata. Si sa per certo che è un dipinto del pittore romano Pietro Gagliardi (1809-1890), anzi ormai su questo non ci sono proprio dubbi, visto che è saltata fuori la firma... Per avere i contorni di questa storia dobbiamo arrivare fino al 1943, anno nel quale la contessa Nappi, per timore che il quadro potesse essere danneggiato o rubato, in razzie e bombardamenti, lo regalò alla chiesa, come ritratto di donna. Come tale, però, la tela non poteva essere esposta in un luogo sacro, tanto che fu incaricato un pittore di Osimo per dipingervi sopra, da quanto era stato detto, un'aureola e un vassoio con gli occhi, rendendo così la donna ritratta una Santa Lucia. Il dipinto su tela, di 82x111 centimetri, prese così posto a sinistra sul coro nella Chiesa del Sacramento di Polverigi, come prima opera. Dal 1943 al 2005 è stata una Santa Lucia, di autore anonimo. Ma già qualcuno, sin da fine millennio, aveva cominciato ad avere dei dubbi, o meglio si era cominciato a chiedere: "Ma io questa faccia l'ho già vista, ma dove?". Già, perché questo viso di donna era già conosciuto dagli esperti di arte per averlo visto in altri quadri, quelli di Francesco Podesti: si tratta della stessa modella, infatti, proposta in altri dipinti del celebre pittore anconetano dell'Ottocento. Partono così le ricerche e alla fine si decide, sentito anche il parere degli esperti, compreso uno dei massimi studiosi, ovvero Michele Polverari, già direttore della Pinacoteca di Ancona, di attribuire il dipinto al Podesti e questo assunto resta tale dal 2005 al 2016, momento nel quale succede qualcosa durante il restauro della tela ed emerge una firma, danneggiata, scrostata, eppure alla fine chiara per essere la firma di Pietro Gagliardi, conosciuto come il miglior pittore romano dell'Ottocento. Nessun mistero, quindi sul viso del quadro, perché essendosi formato e avendo frequentato a lungo l'Accademia di Belle Arti San Luca di Roma, la stessa di Podesti, potrebbe aver, anzi ha quasi sicuramente ritratto la stessa modella che si prestò a ore e ore di posa, proprio nella struttura romana! Risolto questo mistero, il restauro ad opera di Romeo Bigini che ha messo mano ad alcune lacerazioni della tela, ad allentamenti e perforazioni della stessa, ai distacchi del manto pittorico, ha confermato che si tratta proprio dell'immagine di una Santa e che l'aureola c'era già, non è stata ridipinta come si diceva, ma anzi l'unica aggiunta al quadro,realizzata a metà Novecento è stato proprio quel vassoio con gli occhi che l'aveva resa "forzatamente" una Santa Lucia. "Dopo un giro per il paese - ha detto Bigini - abbiamo deciso di operare subito su questo dipinto, perché particolarmente danneggiato. E per il ripristino è stato necessario prima velinare il quadro con carta giapponese, operazione che serve quando il colore è danneggiato, per poterlo proteggere al meglio. Si è poi provveduto a raddoppiare la tela con una foderatura e una colla speciale che fa diventare un tutt'uno la tela del quadro con la tela che serve a rafforzarla. Solo a questo punto si è potuto procedere con il togliere la velina e cominciare con la pulitura. Ed è saltata fuori, sotto una patina di sporco, la firma di Pietro Gagliardi, in un'area del quadro che era particolarmente danneggiata. Si sono rese necessarie alcune ricerche, perché la firma era parziale, ma poi l'attribuzione è stata inequivocabile". Superati molti dubbi, stabilito l'autore e che il dipinto è del 1864, ora a questa Santa si deve dare un nome, un'identità e sono tutti al lavoro per questo, anche se non è un'identificazione facile. Alcuni indizi per l'individuazione, tra i simboli e la reale vita dei Santi, potrebbero essere la foglia di palma (simbolo del martirio) che tiene in mano, l'estasi nello sguardo, il ceppo al polso sinistro e una finestra con le sbarre (era forse carcerata?), un gioiello, un mantello rosso su abito verde, i capelli coperti e in base a queste caratteristiche è partita ora la ricerca. D'altronde Pietro Gagliardi, tra i capiscuola della pittura parietale sacra, era abbastanza al di dentro delle cose della Chiesa e di Sante ne ha dipinte proprio tantissime. Dopo aver avuto come maestri Camuccini, Landi e Minardi, che lo hanno guidato attraverso i percorsi del Neoclassicismo, ha lavorato per la maggior parte del tempo a Roma, dove ha affrescato moltissime chiese, se ne contano 18, oltre alle sedi dei principi Torlonia, a Roma e a Castel Gandolfo e oltre ad essere stato il pittore ufficiale della Repubblica di Malta, dove affrescò (anche qui) altre chiese. Chi meglio di lui poteva conoscere vita e peculiarità dei Santi? Cristiana Carnevali Scarpe rosse. Sandali rossi. Ballerine rosse. Allineate sopra un tavolo. Ai piedi delle donne… E quei posti occupati da un fiore, a ricordarci che altre donne avrebbero volute esserci, se non fossero state costrette a morire per mano di uomini fragili, deboli psicologicamente e capaci di mostrare solo in questo modo, con la violenza, la propria frustrazione. Storie, tante storie, mille storie. Tutte diverse. Tutte in grado di riempire ogni giorno la cronaca mondiale. E per non dimenticare queste storie, l’Amministrazione comunale di Polverigi ha voluto celebrare il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, con un pomeriggio - evento in cui ha reso le donne protagoniste, ma con tutte le porte aperte agli uomini. In una sala consiliare gremitissima, dopo il saluto iniziale dell’assessore alla Cultura Patrizia Lombardi, sono state raccontate delle storie, a cominciare da quella di Malala Yousafzai, giovane pakistana alla cui vita hanno attentato i talebani e solo perché esortava le donne a istruirsi, come mezzo per raggiungere una libertà di genere che lei ha sempre vissuto in casa sua, grazie a due genitori speciali ed evoluti, ma che, purtroppo, non era ben vista dagli oppressori religiosi che considerano, ancora oggi, la donna come un essere inferiore, al quale dare indifferentemente una carezza o un calcio, senza ricevere in cambio la benché minima reazione. Di tre colpi sparati contro Malala, da una mano che tremava, uno solo l’ha raggiunta, trapassando l’orbita e l’orecchio e andandosi a conficcare nella spalla. Era il 9 ottobre 2012. Solo un miracolo le ha permesso di guarire e di diventare un simbolo. E’ stata trasferita immediatamente in Europa e vive attualmente a Birmingham. Un anno dopo il tentato femminicidio ha parlato alle Nazioni Unite e nel 2014 è stata insignita del premio Nobel per la pace. I suoi attentatori, con il gesto infame, hanno ottenuto soltanto che la sua voce diventasse più forte. Altre storie sono state raccontate dall’avv. Roberta Montenovo, in rappresentanza dell’associazione “Donne e Giustizia”, centro antiviolenza della provincia di Ancona. Le sue storie sono state quelle dei casi marchigiani (con numeri costanti e con la prevalenza di donne italiane sulle straniere che si rivolgono al centro, ma anche con un pericoloso abbassamento dell’età media delle donne che subiscono violenza). Ha spiegato come avviene tutto l’iter, da un primo contatto telefonico al 1522, numero nazionale che poi smista le telefonate ai vari centri competenti per territorio. Gli operatori telefonici sono persone opportunamente formate e solo dopo aver capito la reale situazione che viene portata alla loro attenzione, invitano la donna che si trova al telefono per un colloquio in sede. Si comincia così ad affrontare tutta la problematica della storia violenta, si valuta la tipologia della consulenza necessaria (se legale o psicologica), si fornisce alla donna un supporto per riconoscere i vari tipi di violenza possibile e quella che la riguarda direttamente. Perché spesso è vero che le facce della violenza sono così tante che nemmeno si riesce a riconoscerle. “Quella dell’avvocato – ha detto Roberta Montenovo - è forse la figura che serve per ultima: serve prima prendere coscienza del vissuto e dell’atto di violenza. E’ importante che la donna abbia tutte le informazioni del caso, ma l’associazione non le impone certo di lasciare il marito, perché nessuno può entrare nel merito della decisione ultima che spetta alla donna!”. L’associazione “Donne e Giustizia” ha anche uno sportello anti-stalking e cerca di far rete con le forze dell’ordine, con il pronto soccorso e con tutti gli attori del processo che si attiva, in modo da procedere con cautela, ma con cognizione e soprattutto parlando tutti la stessa lingua, rendendo più semplice alla donna oggetto di violenza un percorso che non è comunque facile, soprattutto per una pressione psicologica che arriva da più parti, non ultima la famiglia di origine, la religione, il comune pensare che fa ancora fatica a condannare, perché non la riconosce, anche solo una forma “minore” di violenza che magari non uccide, ma annienta psicologicamente o economicamente, che ricatta, preclude libertà, rende isolati… Altre due donne, questa volta in musica, hanno raccontato storie. Struggenti, innamorate, dolorose, le storie hanno viaggiato attraverso le voci di Silvia Liuti e Lara Giancarli del Duo Drypépes, arrivando dritte al cuore ed emozionando la sala con canti tradizionali dell’Italia e dell’Est Europa. Alla fine caldarroste e vin brulé, gentile omaggio della Pro Loco di Polverigi, hanno permesso ai presenti di scambiarsi pensieri e sensazioni appena provati, con l’augurio che si possa presto non celebrare il 25 novembre per ricordare le donne vittime, ma per celebrare una differenza di genere che rappresenti una ricchezza per l’umanità. Cristiana Carnevali |
AutriciSiamo donne, di Polverigi e intorno al pentolone della marmellata ci divertiamo davvero! Archivio
Luglio 2022
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