Noi siamo le nostre emozioni ed è qui che troviamo un terreno comune su cui confrontarci. Non sono le età differenti, la saggezza, la maturità o la spontaneità giovanile, forse anche un po' irruenta, ma i buoni sentimenti di fondo, il cercare di capirsi, mettendosi nei panni dell'altro, il rispettare le opinioni diverse dalle nostre. E da un conflitto di partenza a 360 gradi, innanzi tutto generazionale, poi ideologico, quindi culturale e probabilmente anche obbligato dalla situazione, a causa di un incidente stradale, si approda alla fine a un legame stretto che porta alla commozione profonda... Ecco, “Farà giorno” della Compagnia teatrale “La Bottega de le Ombre” di Macerata è in questo modo che ha conquistato il pubblico presente all'Anfiteatro al Parco delle Querce di Agugliano, ultima compagnia in gara per il Festival nazionale di Teatro dialettale. Arrivando dritta al cuore. Non è stato soltanto per la bravura dei tre attori che chi segue il Festival sa essere efficaci, coinvolgenti e veritieri. Qui c'è un testo che dice molto di più di quanto c'è sopra il palco e proprio in virtù di quelle cose non dette, consente di fare i conti con il proprio vissuto, con le stupidità del passato, con le situazioni irrisolte, con gli errori, con il non parlarsi, non spiegarsi, il convincersi di essere nel giusto, con quel “ti voglio bene, papà” che arriva quasi sul filo di lana, perché la signora con la falce è proprio lì, pronta a tagliarlo...
E il pubblico, seguendo gli attori, è obbligato a cogliere le sfumature, adattandole a sé, trovando anche il modo di far scivolare giù una lacrima per un'emozione che fa vibrare forte le corde dei ricordi: non sarà stata una figlia terrorista delle Br, non sarà un borgataro sbruffone e tutte parolacce, incapace di assumersi le proprie responsabilità, ignorante quanto basta da pensare che un libro serva soltanto a livellare un tavolino che balla, non sarà un anziano fermo sulle sue posizioni e nei suoi ideali, in nome dei quali denuncia anche la figlia, intollerante all'ignoranza, con un passato di sofferenze forti, tra la guerra e le disgrazie di famiglia, ma di sicuro qualcuno o qualcosa c'è venuto in mente.
All'inizio non è tanto solerte nell'impegno e il povero Renato si ritrova a doversela fare nel letto, perché privato di qualsiasi possibilità di andare in bagno, senza quell'aiuto promesso. Manuel riesce anche a rubargli tremila euro (i risparmi per pagarsi il funerale), a sfruttarlo, perché deve nascondersi, ma a poco a poco l'affetto, il rispetto, la tenerezza costituiscono quel luogo di incontro che permetterà l'ingresso a fiducia e condivisione nel rapporto tra i due. Renato confessa la militanza nelle Br della figlia Aurora che non vede da trent'anni e che proprio lui ha denunciato. Condivide con Manuel l'apprensione per il ritrovarla di nuovo, dopo l'arrivo di un telegramma che le annuncia che Aurora è a Roma e che a giorni sarà di nuovo a casa. Un incontro intenso, fatto di un lungo sguardo, in cui Manuel si sentirà di troppo, proprio perché rispettoso dell'intimità di quello che è ormai diventato il suo maestro di vita. E proprio quando non c'entra niente, il giovane finirà in galera e sarà proprio Renato a fare di tutto per tirarlo fuori. Quasi come ad aspettarlo, quando Manuel tornerà a casa, Renato si lascerà andare, tra le braccia delle persone a lui più care, con quel “Ti voglio bene, papà” di Aurora che aspettava da troppo tempo, ma anche con quel suo ragazzo sbandato che in carcere è riuscito a leggere dei libri. Finalmente in pace, i tre hanno trovato nell'amore un terreno comune in cui dimenticare tutto e condividere ogni cosa. Comprese le emozioni del pubblico!
Cristiana Carnevali