Scarpe rosse. Sandali rossi. Ballerine rosse. Allineate sopra un tavolo. Ai piedi delle donne… E quei posti occupati da un fiore, a ricordarci che altre donne avrebbero volute esserci, se non fossero state costrette a morire per mano di uomini fragili, deboli psicologicamente e capaci di mostrare solo in questo modo, con la violenza, la propria frustrazione. Storie, tante storie, mille storie. Tutte diverse. Tutte in grado di riempire ogni giorno la cronaca mondiale. E per non dimenticare queste storie, l’Amministrazione comunale di Polverigi ha voluto celebrare il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, con un pomeriggio - evento in cui ha reso le donne protagoniste, ma con tutte le porte aperte agli uomini. In una sala consiliare gremitissima, dopo il saluto iniziale dell’assessore alla Cultura Patrizia Lombardi, sono state raccontate delle storie, a cominciare da quella di Malala Yousafzai, giovane pakistana alla cui vita hanno attentato i talebani e solo perché esortava le donne a istruirsi, come mezzo per raggiungere una libertà di genere che lei ha sempre vissuto in casa sua, grazie a due genitori speciali ed evoluti, ma che, purtroppo, non era ben vista dagli oppressori religiosi che considerano, ancora oggi, la donna come un essere inferiore, al quale dare indifferentemente una carezza o un calcio, senza ricevere in cambio la benché minima reazione. Di tre colpi sparati contro Malala, da una mano che tremava, uno solo l’ha raggiunta, trapassando l’orbita e l’orecchio e andandosi a conficcare nella spalla. Era il 9 ottobre 2012. Solo un miracolo le ha permesso di guarire e di diventare un simbolo. E’ stata trasferita immediatamente in Europa e vive attualmente a Birmingham. Un anno dopo il tentato femminicidio ha parlato alle Nazioni Unite e nel 2014 è stata insignita del premio Nobel per la pace. I suoi attentatori, con il gesto infame, hanno ottenuto soltanto che la sua voce diventasse più forte.
Altre storie sono state raccontate dall’avv. Roberta Montenovo, in rappresentanza dell’associazione “Donne e Giustizia”, centro antiviolenza della provincia di Ancona. Le sue storie sono state quelle dei casi marchigiani (con numeri costanti e con la prevalenza di donne italiane sulle straniere che si rivolgono al centro, ma anche con un pericoloso abbassamento dell’età media delle donne che subiscono violenza). Ha spiegato come avviene tutto l’iter, da un primo contatto telefonico al 1522, numero nazionale che poi smista le telefonate ai vari centri competenti per territorio. Gli operatori telefonici sono persone opportunamente formate e solo dopo aver capito la reale situazione che viene portata alla loro attenzione, invitano la donna che si trova al telefono per un colloquio in sede. Si comincia così ad affrontare tutta la problematica della storia violenta, si valuta la tipologia della consulenza necessaria (se legale o psicologica), si fornisce alla donna un supporto per riconoscere i vari tipi di violenza possibile e quella che la riguarda direttamente. Perché spesso è vero che le facce della violenza sono così tante che nemmeno si riesce a riconoscerle.
“Quella dell’avvocato – ha detto Roberta Montenovo - è forse la figura che serve per ultima: serve prima prendere coscienza del vissuto e dell’atto di violenza. E’ importante che la donna abbia tutte le informazioni del caso, ma l’associazione non le impone certo di lasciare il marito, perché nessuno può entrare nel merito della decisione ultima che spetta alla donna!”.
L’associazione “Donne e Giustizia” ha anche uno sportello anti-stalking e cerca di far rete con le forze dell’ordine, con il pronto soccorso e con tutti gli attori del processo che si attiva, in modo da procedere con cautela, ma con cognizione e soprattutto parlando tutti la stessa lingua, rendendo più semplice alla donna oggetto di violenza un percorso che non è comunque facile, soprattutto per una pressione psicologica che arriva da più parti, non ultima la famiglia di origine, la religione, il comune pensare che fa ancora fatica a condannare, perché non la riconosce, anche solo una forma “minore” di violenza che magari non uccide, ma annienta psicologicamente o economicamente, che ricatta, preclude libertà, rende isolati…
Altre due donne, questa volta in musica, hanno raccontato storie. Struggenti, innamorate, dolorose, le storie hanno viaggiato attraverso le voci di Silvia Liuti e Lara Giancarli del Duo Drypépes, arrivando dritte al cuore ed emozionando la sala con canti tradizionali dell’Italia e dell’Est Europa. Alla fine caldarroste e vin brulé, gentile omaggio della Pro Loco di Polverigi, hanno permesso ai presenti di scambiarsi pensieri e sensazioni appena provati, con l’augurio che si possa presto non celebrare il 25 novembre per ricordare le donne vittime, ma per celebrare una differenza di genere che rappresenti una ricchezza per l’umanità.
Cristiana Carnevali