Ristabilire la verità storica, significa ridare dignità a un passato letto con parzialità, a un'Unità d'Italia che si poteva ottenere anche senza ammazzarsi tra italiani, anche senza mettere in piedi tutto quello che c'è stato dopo, bistrattando il Sud e i meridionali, anche senza quel mare di vittime innocenti che non sono state risparmiate per un sogno che era poi condiviso e condivisibile, se solo avesse avuto altri connotati. E l'intensità, il dolore, la sorpresa, l'odio, l'amore per la propria terra, sono tutti sentimenti che erano sul palco dell'Anfiteatro di Agugliano, insieme a due musicisti bravissimi, Alessandro Calcaramo e Mario Lo Cascio, una percussionista dalla voce potente e piena di sfumature, all'occorrenza moglie, madre, brigantessa e di sicuro grandissima cantante, ovvero Marinella Rodi e a un narratore, Gabriele Profazio che semplicemente “cambiando casacca” ha dato voce ai protagonisti, identificabili, appunto, dalle poche cose indossate a scena aperta: la giacca dell'uniforme di Francesco II, la toga dell'uomo di legge per ricordare alcuni passi della legge Pica, il cappello piumato del bersagliere Carlo Margolfo che partecipò all'eccidio di Pontelandolfo e Casalduni (Benevento), fino alla logora camicia del deportato della fortezza di Fenestrelle (Torino), congelato da quelle temperature glaciali, in quelle celle dove le finestre erano buchi per accelerare la fine dei carcerati, con indosso pochi vestiti, denutriti, condannati a vita, ma che in realtà non sopravvivevano oltre i tre mesi. E proprio mentre Profazio batteva i denti per rappresentare quel tormento senza fine, il freddo era tangibile anche tra il pubblico presente all'Anfiteatro, nonostante la calda serata di fine luglio. Emozioni condivise che hanno regalato a tutti i presenti la voglia di dire: “Io, a teatro, c'ero!”.
Cristiana Carnevali