Racconta il regista, Raffaele Furno, che l'idea del ring gli è venuta una notte, in sogno. La realtà è che è stato capace di trasformare in sogno una "Filumena Marturano" che non è certo in decadenza (certo che no!), ma il cui "uso e abuso", in teatro, ha già fatto storia. Un ring dove tutto ruota, persone e avvenimenti, rinfacci e tradimenti, dove tutto si ricorda e si consuma, ma soprattutto nel cui interno Filumena e don Domenico Soriano (Raffaele Furno, sempre lui!) non si risparmiano niente, nemmeno i colpi bassi. Lei si è appena ripresa dal letto di morte per il quale e solo per quello, lui ha acconsentito a sposarla, non pensando alla possibile manovra che ora rivendica. I colpi e le accuse proseguono senza sosta, senza risparmio di particolari. Uno, due, tre round, incassi e cadute, ginocchia che si piegano all'ennesima cattiveria, finché è proprio don Mimì a finire knock out, steso, vinto dalle argomentazioni di Filumena. E poi ci sono quei tre figli, Michele, Riccardo e Umberto, cresciuti e aiutati e guardati da lontano, ma che hanno il diritto di sapere e soprattutto hanno diritto a dei documenti in cui siano dichiarati i propri genitori, almeno uno, se non proprio una famiglia di provenienza, una famiglia con cui confrontarsi.
E ricordando quel periodo della sua vita, quello della maternità, Filumena richiama in scena la prigionia delle chiacchiere, delle maldicenze, delle costrizioni, tutto quello che ha vissuto facendo la prostituta a 17 anni. Perché "i figli so' figli"... Beh, ma la storia e il grande testo di Eduardo De Filippo, li conosciamo tutti. Quello che ha reso questa "Filumena" della compagnia "Imprevisti e Probabilità" di Formia (Latina) che ha partecipato alla dodicesima edizione del Festival nazionale del Teatro dialettale di Agugliano, unica nel suo genere è tutta la costruzione che ne ha fatto il regista Raffaele Furno, rendendola nuova, accattivante, unica. Tutti gli otto attori sono in scena, sempre, senza un attimo di sosta e sulla scena si cambiano anche i costumi. Perfino l'abito da sposa, con tanto di tailleur e acconciatura, Filumena lo indossa davanti al pubblico. Quel ring iniziale dove si è consumata la lotta tra i coniugi Soriano a un certo punto si è aperto e si è trasformato: ora è una gabbia insormontabile, poi un vicolo cieco che conduce sempre dalla stessa parte, quindi un ostacolo ai propri pensieri e ai propri piani di vita. E gli attori montano e smontano la scena, senza sosta, ipnotizzando con i loro movimenti lenti, ma dando vita e forza a tutta una simbologia che non passa certo inosservata. Ovviamente in tutto questo spostare, arrampicare, boxare, schivare, girare, c'è anche uno sforzo fisico notevole e Filumena riesce persino a "evadere" dalla sua prigione, arrampicandosi, scavalcando e saltando giù. Con i tacchi.
E le sue lacrime, alla fine, quando ha finalmente tutti i suoi amori intorno, gli uomini della sua vita stretti in abbraccio, sono le lacrime vere di una grandissima Soledad Agresti, la giovane attrice protagonista, intensa, vera e capace di richiamare alla mente molte altre "Filumene", un olimpo nel quale si inserisce a pieno titolo. E' stata proprio lei, insieme alle "visioni" vincenti di Raffaele Furno a dare aria nuova alla vecchia Filumena Marturano di De Filippo e a trasformarla davvero in un sogno.
Cristiana Carnevali